Paolo Bettini

Paolo Bettini é stato il simbolo, semplicemente, delle Nazionali di Franco Ballerini. Perché c’é sempre stato, ma anche per il modo in cui c’é stato. Per le vittorie, ma anche per le sconfitte. Per le parole, ma anche per i silenzi.

Per tutto. Da Lisbona 2001 a Mendrisio 2009, quando il “Betto” era stato al fianco del “Ballero” in ammiraglia: sono nove Mondiali che tengono dentro due Olimpiadi, Atene 2004 e Pechino 2008.

Non ce ne saranno altri, dopo una maledetta domenica mattina di inizio febbraio: Bettini si è ritrovato a dare una tenerissima carezza a Sabrina Ballerini all’uscita dell’ospedale di Pistoia, oppure a tenersi la mano su bocca e naso il giorno del funerale. Gli occhi gonfi, e un peso terribile sul cuore. Non avrebbe mai voluto dire nessuna delle parole che ha detto. Mai.

“Ho chiesto di vederlo, Franco. L’ho trovato così come mi aspettavo: concentrato su quello che doveva fare, secondo me non si è accorto di niente, non ne ha avuto il tempo. Credo che ora stia bene. È uno che, come me, come altri, come tanti, non ha mai aspettato che qualcosa passasse sotto la sua finestra per poterla prendere, ma la prendeva e la portava sotto la sua finestra. Non siamo mai stati da pantofole, ma da corsa. Quando correvo, Franco diventava il C.T. solo il lunedì prima del Mondiale. Discutevamo, litigavamo, ci siamo offesi e mandati a quel paese, ma aveva sempre ragione lui”.

E ancora, il giorno dopo la tragedia: “Sto peggio di ieri, più passano i minuti e più si realizza quale sia la realtà. Bisogna accettarlo, buttare giù, però è una grande perdita. Tutti gli volevano bene e gli vogliono bene perché non ha mai fatto un torto a nessuno. Gli è successo quello che è successo dentro una macchina da rally. È facile adesso puntare il dito su questa attività.

Anche a me hanno detto: ‘Siete ciclisti, cosa volevi fare’. Niente, Franco si voleva divertire come abbiamo fatto tante volte insieme. Se non era una macchina da rally, sarebbe stato qualcos’altro”.

Franco Ballerini aveva raccontato tante volte come aveva conosciuto Paolo Bettini. E lo aveva scritto in un libro, firmando la prefazione di “Così ho pedalato in cima al mondo”, l’autobiografia di “un collezionista di classiche” che il vincitore di due Mondiali e un’Olimpiade ha scritto con il giornalista Andrea Berton. Lo incontrò a Marina di Bibbona, nel 1994, sulle sue strade, mentre era in ritiro con la Mapei. Procedeva in gruppo sulla vecchia Aurelia, a Donoratico, e vide un puntino che pedalava in senso opposto.

Era Paolo, che girò la bici e si intrufolò nel gruppo.
Quando, qualche giorno dopo, Ballerini seppe che non era uno junior, ma un under 23, disse: “Non è che gli manchi il fisico, é proprio un bimbo. In quel momento non avrei scommesso su di lui un centesimo”.

Poi sono venuti due ori mondiali, uno olimpico, l’argento delle polemiche a Lisbona, la delusione di Madrid 2005. Sono venute tante di quelle cose. Franco, su Paolo: “Era lucidissimo nell’analisi delle corse, capiva tutto un attimo prima. Era una fortuna essere C.T. ed avere in squadra uno come lui. E’ ai Giochi di Atene 2004 che si cementò l’amicizia. Un fuoriclasse, un diabolico vincitore nato. Quel puntino è diventato un grande sole capace di illuminare d’azzurro il ciclismo italiano”.

Paolo, su Franco: “Un amico, come lo intendo io. Franco di nome e di fatto. Abbiamo anche corso insieme per pochi mesi alla Mapei. Ma la confi denza non ha mai infl uenzato le sue scelte. Se sei suo amico e vai piano, lo incontri al ristorante. Non in Nazionale. Ha avuto la forza ogni anno di credere e investire le energie in un progetto di squadra, di difenderlo dalle critiche, di far sentire tutti partecipi del disegno”.

di Ciro Scognamiglio (La Gazzetta dello Sport)

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